EX ILVA: ADESSO SI PROTESTA PER SALVARE LA PRODUZIONE

di Piero Piliego

Da qualche giorno a Taranto campeggia un manifesto gigante sul quale è scritto:

“Le imprese chiedono a Governo Regione e Comune, rispetto per Taranto.
No allo stop dell’acciaieria più ambientalizzata d’Europa.
No all’amministrazione straordinarie e/o newco.
Si alla ripresa degli investimenti per la produzione dell’acciaio sostenibile.
A.I.G.I. Associazione dell’indotto AdI e general i dustries”.

La firma è quella di una associazione, nata da fuoriisciti da Confindustria, che raccoglie principalmente imprese dell’indotto di Acciaierie d’Italia.

Verrebbe da chiedersi chi ha pensato un testo del genere. Ognuno è libero di esprimere il proprio punto fi vista, ma ci vuole veramente coraggio per parlare a nome della città e chiedere rispetto per un territorio attanagliato dalla morsa della grande industria, oppresso dal punto di vista ambientale, della salute, del lavoro e dello sviluppo. Un rispetto che secondo Aigi dovrebbe passare attraverso il salvataggio pubblico della produzione.

Gli industriali dell’indotto AdI chiedono di salvare l’acciaieria più “ambientalizzata” d’Europa. Come se l’ambientalizzazione fosse un valore aggiunto.
Ambientalizzazione, termine coniato proprio per il caso Ilva (qualche anno fa non era nemmeno presente sul vocabolario), è l’atto di ambientalizzare e, come si può leggere oggi sulla Treccani: “Con riferimento a insediamenti industriali (centrali elettriche, stabilimenti siderurgici, ecc.), attuare opere di risanamento ambientale indirizzate a ridurne gli effetti inquinanti e l’impatto sul territorio, anche allo scopo di garantire un’adeguata tutela della salute dei cittadini: a una centrale termoelettrica, un’acciaieria”.

Quindi per gli industriali di Aigi, qualche filtro nuovo renderebbe un’acciaieria a carbone da 8/10 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, un gioiello europeo.
Poco importa se l’ex Ilva resta uno dei più grandi inquinatori europei, e certamente non paragonabile alle meno inpattanti piccole acciaierie con forni elettrici.

Il rispetto che chiede Aigi è quello per poter continuare a lavorare per AdI, grazie ad una nuova iniezione di fondi pubblici per l’acquisizione del 100% delle quote di Acciaierie d’Italia da parte dello stato. Gli industriali di Aigi in patica chiedono di diventare dipendenti statali, vogliono un “posto fisso”.

Appare incomprensibile però che aziende che lamentano crisi lavoratova, assumano nuovo personale, non più giovane e gli facciano fare anche lo straordinario.

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