CHI VARCHERÀ QUEL PORTONE?

di Cinzia Amorosino

Si allunga l’ombra del ministro Raffaele Fitto*, quello che ha in mano i fondi del Pnrr per intenderci, su un possibile ribaltone nel Comune di Taranto. I rumors sussurravano di un accordo col sindaco Rinaldo Melucci che, come si vede, non vuole lasciare la sua poltrona, costi quel che costi.
Sono i vertici nazionali dei partiti di centrodestra che dovrebbero decidere nel pomeriggio di oggi se i consiglieri locali, da sempre all’opposizione nelle due consiliature Melucci, debbano varcare il portone del notaio Monti in via De Cesare, pieno centro del bellissimo Borgo ottocentesco.
Per precisione alle 15,00 si aspettavano i titubanti: Giampaolo Vietri e Tiziana Toscano (Fratelli d’Italia), Francesco Battista (Lega), Francesco Cosa, Walter Musillo e Cosimo Festinante (Svolta liberale).
Tutto il centrosinistra, consiglieri di Con compresi, poche ore fa erano nello studio notarile. C’era anche l’esponente di Forza Italia nella massima assise cittadina, Massimiliano Di Cuia.
Mancano ancora all’appello pure
Massimo Battista (Una città per cambiare) per cause di forza maggiore e che dovrebbe recarsi a firmare appena esce dall’ospedale, e Luigi Abbate (Taranto senza Ilva) che, sue dichiarazioni, vorrebbe essere il 17°, non rendendosi conto che qui non si sta giocando a chi arriva prima ma o si è convinti, come sbandierato più volte in questi anni, che l’amministrazione Melucci ha fallito e si vanno a rassegnare le dimissioni oppure si dice ai cittadini (che non capiranno): scusate ma ci siamo sbagliati, è il sindaco migliore di tutti.
Naturalmente lo stesso ragionamento, che non riguardi la sostanza ma puerili pretesti, vale per tutti i 17 consiglieri che dovrebbero entrare in quel portone con la penna in mano.

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Raffaele Fitto è Ministro per gli Affari europei, per le politiche di coesione e per il PNNR dal 22 ottobre 2022 e gestirà le risorse del Pnnr. Le cronache ci dicono che nel 2013 è stato condannato in primo grado a
quattro anni di reclusione e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici per corruzione, abuso d’ufficio e illecito
finanziamento ai partiti.

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