di Cinzia Amorosino
Grande rilievo nelle ultime ore, è stato dato dalla stampa al naufragio della nautica di lusso a Taranto, quel Ferretti Group che avrebbe dovuto sbarcare all’ex yard Belleli, ottima azienda che quando fu fatta fallire, nel sito tarantino trascinò a fondo ben 2mila dipendenti. Numeri ben lontani dai 200 nelle previsioni della società Ferretti che, peraltro, ha appena annunziato il suo ritiro dal programma di recupero e di rilancio del sito nel porto di Taranto. Notizia che avrà scosso anche gli oltre 300 lavoratori ex Tct dell’agenzia portuale per il lavoro, che speravano in una nuova occupazione.
Eppure ad aprile dello scorso anno era stato raggiunto quello che allora sembrava un passo decisivo nel progetto che doveva permettere la realizzazione dell’insediamento industriale per la costruzione di modelli e stampi per la produzione di scafi per yacht di lusso, coperte e sovrastrutture in composito e carbonio oltre a un centro di ricerca per materiali avanzati.
“Il bando per la bonifica – ha spiegato il Gruppo Ferretti – annunciato appunto ad aprile scorso, è arrivato solo un mese fa, per un progetto partito nel 2020 e che è stato portato avanti con gli interlocutori di due governi”.
Si trattava di un investimento di 200 milioni, in buona parte sostenuto da fondi pubblici (137 milioni).
Nella nota dell’amministratore delegato Alberto Galassi si legge: “Ferretti Group comunica il recesso dal programma di bonifica e reindustrializzazione del sito ex Yard Belleli nell’area portuale di Taranto. Nonostante gli sforzi profusi dalle istituzioni, i ritardi accumulati nel lungo iter approvativo e attuativo hanno costretto il gruppo a rinunciare al progetto; negli anni sono aumentati gli investimenti necessari e diminuite le contribuzioni pubbliche al programma, rendendone l’esito incerto ed eccessivamente oneroso per la società. Il recesso è stato comunicato in tempi idonei a minimizzare l’esposizione dell’Autorità di Sistema Portuale rispetto alla gara pubblica non ancora conclusa”. E una societa quotata in borsa deve render conto agli azionisti.
Leggendo tra le righe dello scarno comunicato e allargando la visuale a ciò che c’è intorno, sembra quasi di intravedere la volontà di qualcuno che, nelle alte sfere governative, abbia manovrato per dirottare i cospicui fondi a disposizione (se mai ci siano stati) su altra attività produttiva considerata ben più importante per le industrie, specie quelle nel nord del Paese e che certo, al momento, naviga in mari tempestosi rischiando di affondare. Ricordiamo intanto che Taranto area Sin rallenta le operazioni burocratiche, come ha ribadito il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ionio Sergio Prete, ma che, soprattutto, questa è un’area dentro la più grande infrastruttura ionica e qualcuno che si occupa a livello nazionale di “infrastrutture” potrebbe agevolare certe attività piuttosto che altre.
È fantapolitica? Forse si o forse no, ma il cerchio si chiude. Intanto, adesso servono tanti capitali allo Stato per l’ex Ilva e visto che la politica tarantina è in coma e come tutta la città non reagisce o pensa ai fatti suoi, si continua a spolpare Taranto finchè non diventerà un deserto invivibile.
Peraltro, basta riflettere anche solo sul ritardo nella convocazione del tavolo del Cis (Contratto interistituzionale di sviluppo) e appare tutto più chiaro.
Il tempo ci dirà meglio “cui prodest”, a chi giova tutto questo.
