L’avvocato Maurizio Rizzo Striano, esperto di questioni ambientali e profondo conoscitore della situazione Ilva, spiega perché il governo ha tagliato i fondi destinati alle bonifiche e li ha spostati su opere finalizzate all’incremento della produzione.
“Nel decreto legge milleproroghe per l’anno 2022 sono state inserite alcune norme che riguardano ILVA e che hanno suscitato la reazione dei Verdi e di Peacelink che le ritengono un indebito aiuto di stato con violazione delle norme di diritto eurocomunitario sulla concorrenza. In piu’ si è sottolineato come, in base alle stesse, si siano sottratte risorse che erano vincolate alle bonifiche.
Queste obiezioni sono fondate, tuttavia non spiegano bene perchè il Governo sia arrivato a tanto.
Per comprenderlo bisogna fare un passo, anzi due, indietro.
Nel 2020 ILVA in a.s. e Mittal decisero di transigere la causa intentata da Mittal che aveva esercitato il recesso (quello accordatogli, gratuitamente, da Di Maio e Costa nel 2018). Secondo la transazione si sarebbe dovuta creare una new company al cui capitale avrebbe partecipato lo Stato, tramite una sua controllata che venne poi in effetti individuata in INVITALIA, società con capitale al 100% pubblico. Lo Stato avrebbe dovuto apportare nella new company capitale pari a 1.755 milioni di euro.
Successivamente, in occasione del PNRR, il governo aveva incluso nelle opere da finanziare con i fondi UE next generation, per 1.600 milioni di euro, quelle relative alla costruzione di un forno elettrico che avrebbe avuto una capacità produttiva pari a 2 milioni di tonnellate annue di acciaio che, si badi bene, si sarebbe aggiunto alle sei milioni di tonnellate prodotte con il ciclo integrale a carbone.
In base a queste due previsioni le parti avevano concordato un nuovo piano industriale che però non fu mai reso pubblico.
In effetti è accaduto che il percorso individuato dalle parti è saltato poichè la misura prevista nel PNRR non è stata approvata dalla Commissione e dal Consiglio UE in quanto il PNRR europeo non ammette che si possano finanziare opere che prevedono l’utilizzo di fonti fossili (uno dei pilastri del PNRR europeo è infatti la transizione ecologica) e i forni elettrici previsti avrebbero utilizzato il metano , meno inquinante del carbone, ma pur sempre fonte fossile.
Si è quindi creato un bel buco nelle previsioni formulate dal Governo e da Mittal. In più rimangono da versare, da parte dello Stato , ulteriori 655 milioni di euro, in adempimento della transazione (ne sono stati versti sonora due tranches, una di 400 milioni ed un’altra di 700 milioni).
A questo punto le parti sono dovute correre ai ripari e lo hanno fatto mettendo in cantiere un nuovo piano industriale, in via di elaborazione, in cui la c.d. decarbonizzazione viene rinviata alle calende greche ed in cui si individuano nuove forme di finanziamento.
Una di queste è proprio quella prevista con le contestate norme del milleproroghe con le quali le risorse destinate alle bonifiche vengono dirottate agli investimenti previsti dalle parti per non chiudere gli obsoleti impianti.
Questi ullteriori finanziamenti, come si vede, nemmeno riescono a coprire tutto il “buco” creatosi. In piu’ non sono ammissibili, ma non tanto per la questione degli aiuti di stato che verrà valutata dalla Commissione Europea in base alle regole sulla concorrenza. Sono inammissibili ed illecite perchè in materia di bonifiche vale il principio “chi inquina paga” e per questo il capitale confiscato ai Riva , pari ad oltre 1.145 milioni di euro, fu giustamente destinato a questa finalità. Esso era una misura riparatoria del danno ambientale e proprio per questo motivo la Commissione Europea la ritenne lecita.
Se ora queste risorse vengono destinate ad altro chi si farà carico delle bonifiche che sono obbligatorie per legge secondo le norme delle direttive europee, recepite dal codice dell’ambiente? Questo il decreto milleproroghe non lo dice ed è per questo motivo che è da ripudiare. Il Presidente della Repubblica ci lascia con un brutto ricordo. Non avrebbe dovuto promulgare un d.l. contrario alle direttive europee e contrario ad una decisione della Commissione Europea che aveva ritenuto ammissibili finanziamenti pubblici all’impresa solo se ed i quanto finalizzati a tutelare il diritto alla salute dei cittadini (1).
Si poteva seguire un’altra strada? Si, una sola, chiudere l’area a caldo. Non facendolo il Governo non fa altro che aggiungere illegalità a illegalità ed il tutto a spese del contribuente e della salute dei tarantini.
Il suo piano è chiaro. Mettere le toppe agli impianti obsoleti fino ad ultimazione del piano ambientale e dopo rifare AFO5 per raggiungere una produzione di 8 milioni di tonnellate annue, sempre con il ciclo integrale, sempre a carbone.”
(1) Trascrivo il testo della decisione n. 1498 del 2018 della Commissione Europea in merito alle bonifiche: “2.3.4. La Commissione non intende opporsi a interventi urgenti a tutela dell’ambiente e della salute Al considerando 114 della decisione di avvio, la Commissione ha precisato che, alla luce dell’emergenza ambientale e sanitaria descritta al considerando 11 e riconosciuta ufficialmente dalle autorità italiane, la Commissione non si sarebbe opposta ad eventuali azioni immediate che le autorità italiane ritenessero necessarie per tutelare la salute dei cittadini. Pertanto, l’avvio del procedimento formale non ostava all’eventuale sovvenzio namento pubblico delle spese per gli interventi di bonifica del sito dell’Ilva e delle aree circostanti, nella misura in cui tali interventi fossero urgenti e necessari per porre rimedio all’inquinamento esistente e per garantire la salute pubblica nella città di Taranto, in attesa che venisse individuato il responsabile dell’inquinamento, secondo gli standard previsti dalla normativa in vigore. A tale riguardo, la Commissione ha osservato al considerando 115 della decisione di avvio che le autorità italiane avevano adottato le misure necessarie per identificare il responsabile dell’inquinamento. In attesa dell’esito del procedimento giudiziario, la Commissione ha ritenuto che lo Stato italiano si stesse legittimamente attivando per garantire che l’inquinamento accumulato non nuocesse alla salute dei cittadini e all’ambiente della zona di Taranto. La Commissione ha chiarito che, qualora il procedimento giudiziario in corso avesse permesso di individuare il responsabile dell’inquinamento, quest’ultimo avrebbe dovuto, conformemente alle disposizioni vigenti di riconoscimento o applicazione del principio «chi inquina paga», rimborsare con gli interessi gli importi già spesi dallo Stato per gli interventi di bonifica. Dal momento che le autorità giudiziarie italiane stanno adottando le misure opportune per individuare il responsabile dell’inquinamento e le responsabilità finanziarie derivanti dalle sue azioni, la presente decisione non incide sulle conseguenze finanziarie relative alle ripartizioni dei costi sostenuti per porre rimedio all’inquinamento esistente già operate tra lo Stato o altri soggetti pubblici o privati e il responsabile o i responsabili dell’inqui namento, in applicazione del principio «chi inquina paga» di cui all’articolo 191, paragrafo 2, del TFUE. Per quanto riguarda i futuri costi di bonifica, la Commissione osserva che i fondi per 1,1 miliardi di euro trasferiti dagli attuali azionisti dell’Ilva sono destinati ex lege alla realizzazione del piano ambientale (considerando 21), che si aggiungeranno agli eventuali ulteriori investimenti per migliorare le prestazioni ambientali dello stabilimento di Taranto che l’eventuale futuro proprietario e gestore vorrà realizzare (cfr. considerando 15 e 63).