PICCOLI TESORI DI TARANTO NASCOSTI E PERDUTI

di Cinzia Amorosino*

Taranto è sempre stata una città che ha distrutto se stessa, in tanti modi differenti. Anche in quello “edilizio”, se così si può chiamare. Un tempo, causa mancanza di spazio, si costruivano le nuove case nell’odierna isola (Città vecchia) sopra antichi templi e edifici di cui si recuperavano le macerie; infatti in molti casi sono visibili colonne spezzate o altre componenti di costruzioni preesistenti negli ipogei sotto i palazzi. Nei tempi contemporanei, invece, si è distrutto e basta.

A questo proposito, non molti conoscono la storia incredibile che vogliamo raccontare.

Siamo nel 1956, anno di elezioni amministrative; al sindaco Nicola De Falco (Pci) succede Raffaele Leone (Dc) ed iniziano i lavori di fondazione del grattacielo Di Maggio che avrebbe interrotto per sempre eventuali ambizioni di prolungare il lungomare Vittorio Emanuele III. Come ci ricorda lo storico prof. Angelo Conte, che ci ha fornito preziose informazioni sulla importante scoperta archeologica, non mancarono contestazioni in città per la concessione di una licenza edilizia che deturpava fortemente il paesaggio.

Partono dunque i lavori e cominciano ad emergere dal sottosuolo importanti resti di una villa romana. Il Soprintendente Felice Gino Loporto blocca i lavori per un approfondimento delle indagini. I resti che si rinvengono sono molto interessanti e consistenti. C’è il rischio di un vincolo archeologico che annullerebbe la licenza edilizia. E qui si consuma uno dei peggiori misfatti a danno del patrimonio archeologico di Taranto: l’ingegnere e direttore dei lavori, nottetempo, fa distruggere ogni emergenza archeologica con le ruspe fuggendo poi da Taranto. Il mattino seguente il triste e desolante scenario come documentato anche dalle foto in bianco e nero. Della grande villa romana suburbana, datata dal Loporto fra il I sec. a.C e il I d.C., costruita contemporaneamente all’anfiteatro e all’acquedotto di Saturo, rimane ben poco: una parte del prospetto porticato proprio in riva al Mar Grande con 4 basi di colonne, una piccola gradinata, una cisterna scavata nella roccia ed alcuni paramenti murari in opera reticolata, elementi oggi visibili ai piedi del grattacielo. La totale distruzione ha impedito di farci un’idea della sua estensione e costituzione.

Questa volta la Soprintendenza è vittima e non protagonista di uno dei tanti scempi di cui é, ingiustamente e senza cognizione dei fatti, accusata.

L’orrendo grattacielo nato sull’antico sito ha dato l’avvio alla edificazione selvaggia di tutto il litorale in direzione S.Vito.

Per qualche decennio il vano esterno alla base della facciata ovest del palazzo, è stato alla mercè di chiunque diventando un letamaio, poi la decisione di chiudere il sito con una inferriata. Ciò non impedisce alla spazzatura di infilarsi tra le sbarre o all’erba infestante di crescere; chi avrebbe il dovere di pulire periodicamente? Peraltro, mai una segnaletica fu apposta, come per tanti altri siti archeologici che invece andrebbero evidenziati. Eppure potrebbe essere tappa di un percorso turistico, sebbene non sia rimasto molto.

Sarebbe un modo di riappropriarsi del passato e di rimediare in qualche modo allo scempio compiuto, raccontandone la triste storia a severo monito per il futuro.

Per le immagini d’epoca e quelle attuali e le informazioni sul sito archeologico, si ringraziano sentitamente Angelo Conte e Mino Lo Re

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