di Daniela Spera*
Il 13 maggio scorso era attesa la sentenza del Consiglio di Stato. Chi si aspettava un verdetto di chiusura degli impianti inquinanti è rimasto deluso. Sì, perché non conforta il fatto che i massimi giudici amministrativi abbiano deciso di rifletterci sù. Perché ogni giorno, ogni minuto e ogni secondo di attesa in più espongono i cittadini di Taranto al rischio esponenziale di ammalarsi. E anche di morire. Ormai non ci sono più voci discordanti sul tema ex Ilva, almeno tra le associazioni tarantine, che pretendono ‘chiusura e riconversione’.
Su tempi e modalità di attuazione di questa volontà, c’è, di sicuro, la necessità di mettere in ordine le idee. Quando a farlo sono enti, istituzioni o istituti accreditati si può iniziare a sperare che qualcosa possa cambiare.
E’ il caso di Eurispes un istituto di ricerca di Studi Politici, Economici e Sociali che ha contribuito a far emergere fenomeni sociali nascosti o poco noti. Ha spesso stimolato il dibattito sociale, politico ed economico, anche ispirando l’attività del legislatore. E’, senza alcun dubbio, un Istituto che ha grande risonanza mediatica. Autorevole. Una voce importante che serve anche a Taranto. Se i personaggi dello spettacolo possono fungere da megafono, le voci che contano nel panorama scientifico possono fare la differenza.
Proprio il 13 maggio, mentre fuori era in corso un sit in a sostegno della chiusura dell’area a caldo dell’ex Ilva, alle ore 11,00 presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, presentava i risultati del Rapporto Italia 2021, in un incontro con la stampa.
L’indagine è stata realizzata su un campione scelto in base alla distribuzione della popolazione per sesso, classe d’età (18-24 anni; 25-34 anni; 35-44 anni; 45-64 anni; 65 anni ed oltre) ed area geografica (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole) risultante dai dati dell’ultimo Censimento Istat. I questionari compilati- tra novembre 2020 e gennaio 2021-e analizzati sono stati 2.063 ed hanno indagato diverse aree tematiche.
Tra le considerazioni generali (‘Per una nuova ri-costruzione’) il Presidente dell’Eurispes, cita anche la vertenza ex Ilva di Taranto. Al tema è dedicata una sezione dal titolo ‘Liberiamo Taranto’. Colpiscono la forza comunicativa, la chiarezza di intenti e la positività nel considerare assolutamente fattibili progetti di smantellamento, bonifica e riconversione che, invece, il Governo-e non solo- ha sempre considerato irrealizzabili.
Nel rapporto si legge: ‘Il nostro territorio è popolato da un numero incredibile di “ecomostri” abbandonanti a se stessi e di altri ancora in funzione che, con il pretesto di dover salvaguardare produzione e occupazione, drenano enormi risorse pubbliche attraverso continue sovvenzioni o attraverso il finanziamento della cassa integrazione’.
E ancora, riferendosi all’Ilva: ‘Salutato all’inizio come panacea dei problemi occupazionali e, nello stesso tempo, come avanguardia del nuovo sviluppo industriale del Meridione, si è rivelato nel tempo un pozzo senza fondo che ha ingoiato un numero imprecisato di miliardi di euro. Nello stesso tempo, lo stabilimento è diventato una vera e propria centrale di produzione delle patologie più diverse segnalate puntualmente dalle autorità sanitarie regionali’.
Poi, mette in fila i concetti base per arrivare alla soluzione:
-‘Se si considera che oggi l’acciaio può essere acquistato a livello internazionale a prezzi notevolmente inferiori di quelli necessari per la sua produzione a Taranto, e che in una economia globalizzata ciascun territorio dovrebbe cercare di valorizzare al meglio i propri asset e le proprie risorse, non resta che una soluzione: chiudere le acciaierie’.
-‘A chi prospetta l’impoverimento del territorio e la perdita di migliaia di posti di lavoro si può segnalare che esistono soluzioni alternative. Coerentemente con le strategie a lungo termine dell’Unione europea, con i Piani nazionali per l’energia e il clima e con i Piani per la transizione energetica, le stesse risorse, finanziarie e umane, impegnate per mantenere in vita lo stabilimento, possono essere utilizzate per smantellare gli impianti, bonificare il territorio e restituirlo alle sue naturali vocazioni’.
-‘Secondo calcoli, sia pure approssimativi (ma l’Istituto ha deciso di verificare attraverso un’approfondita analisi i costi e i benefici di una possibile riconversione), occorrerebbero dieci anni circa per la prima fase, smontare gli impianti, altri dieci anni per bonificare il territorio e altri dieci anni per avviare una serie di attività alternative legate al settore del turismo, dei servizi, dell’ambiente, dell’agricoltura mantenendo gli stessi livelli occupazionali se non, addirittura, incrementandoli’.
E conclude che ‘dobbiamo abituarci a immaginare il futuro con nuove lenti, con una nuova cultura del lavoro e del territorio per non rimanere appesi ad un passato di politica industriale che non ha più senso né prospettive. Le reminiscenze autarchiche nella produzione dell’acciaio sono compatibili solo con l’antica stagione della “politica delle cannoniere”, di infausta memoria’.
Insomma, tutti concetti che alcuni attivisti ‘visionari’- come chi scrive – in passato e molti nel presente, hanno sempre sostenuto e sostengono. Sono gli stessi attivisti ai quali la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dato ragione.
L’ auspicio, ora, è che alla voce di Eurispes si uniscano tante altre voci autorevoli che possano dare un messaggio forte e chiaro, suggerendo la soluzione a una classe politica che, al di là dell’appartenenza partitica, continua a rivelarsi inadeguata a risolvere la grande vertenza tarantina. Che non è ‘solo’ sanitaria e ambientale ma anche economica e sociale.