
Anticamente, durante i riti con cui gli ebrei chiedevano il perdono dei propri peccati, si utilizzava un capro sul quale caricare tutti i peccati del popolo, per poi mandarlo nel deserto. Il capro espiatorio oggi è, chiunque eletto a responsabile di colpe di altri, delle quali è totalmente o parzialmente innocente.
Quello che accade in questi giorni intorno alla questione ex Ilva è la ricerca spasmodica di un “capro espiatorio” sul quale scaricare le colpe di questi ultimi anni di inquinamento e morte.
Si accavallano le dichiarazioni di tanti, scandalizzati dalla recente decisione di Acciaierie d’Italia di interrompere i pagamenti a 145 aziende dell’indotto, lasciando senza reddito migliaia di famiglie.
Esprimono disappunto gli esponenti del nuovo governo di destra, dimenticando forse che Acciaierie d’Italia è una joint venture che vede lo Stato italiano (da loro governato), socio del privato ArcelorMittal.
Si dichiarano scandalizzati gli esponenti dei partiti di sinistra che hanno governato fino a qualche mese fa, firmatari della maggior parte dei decreti “salva Ilva”, e rei di aver portato i Mittal in Italia.
Si mostra stupito il partito che avrebbe dovuto risolvere la questione ex Ilva “in tre mosse”, ma che ha preferito seguire la linea dei suoi predecessori, firmando con Mittal “il migliore accordo possibile, nelle peggiori condizioni”, tradendo le promesse fatte ai tarantini in campagna elettorale.
Minacciano di bloccare la città (la fabbrica non si tocca), quelle sigle sindacali che nel 2018 firmarono l’accordo con i nuovi padroni indiani, stendendo loro il tappeto rosso.
Cadono dalle nuvole gli amministratori locali di regione e città, che in questi anni non hanno perso occasione per mostrarsi accanto ai nuovi padroni, la famiglia Mittal prima e i vertici di Acciaierie d’Italia, dopo, per tesserne le lodi.
Ritengono inaccettabili le dichiarazioni dell’azienda i movimenti green, che hanno propri rappresentanti nella maggioranza locale e nazionale, guidata da chi sostiene la continuità produttiva con un’Ilva più piccola.
Scoprono l’arroganza della grande industria ex attivisti che in nome del “meno peggio” hanno conferito la patente di “ambientalista” a chi si definisce industrialista convinto.
Tutti innocenti, pronti a scaricare tutte le colpe sui Mittal o sull’ad di Adi Lucia Morselli (che innocenti non sono).
Un industriale il cui passato era ben noto prima ancora che arrivasse in Italia ed una manager la cui fama è giunta nella città dell’Ilva, ancor prima che se ne potesse conoscere l’aspetto . Entrambi messi a fare il loro “sporco lavoro” dagli stessi che oggi li criticano, con l’unico obiettivo di farne un capro espiatorio.